Articoli su Borgo Rotondo

 maggio 2009
 
UN TRENO DA VIVERE
In viaggio verso Bologna

di Chiara Serra

Ok. Ce la posso fare. Caro treno delle 8.35 sarai mio!!! Potrebbe parere un grido d’attacco, in realtà è una disperata richiesta di un posto a sedere… spero sempre accada un miracolo e magicamente io riesca a conquistare una poltroncina così da godermi, se così si può dire, il mio viaggetto verso Bologna.
Accade che una mattina su 20 io trovi posto a sedere sul magnifico treno dell’era preistorica con 2 vagoni per 6000 persone…. Vabbè vabbè lascio perdere con le critiche che ogni pendolare conosce e che un automunito o può immaginarsi o non capirà mai! Mi voglio invece concentrare sul mondo parallelo che si viene a creare non appena le porte sgangherate si chiudono e la marcia comincia. Il microcosmo che vive all’interno del treno sarebbe degno di uno studio antropologico, ma senza osare troppo ognuno di noi può benissimo accorgersi della “dimensione fantastica” nella quale viene immerso. Come fare? È semplicissimo! Basta fermarsi un attimo dalla frenesia della vita e restare in ascolto. Ascoltare.
Il primo aprile e l’otto aprile 2009 ci sono state due serate nella saletta della biblioteca di Persiceto, dedicate alla Bioacustica, il relatore era Cesare Brizio, un tipo alquanto singolare e bizzarro che si dedica con passione nel registrare i suoni della natura, dal canto degli uccelli al frinire delle cicale. Questa disciplina è tutta incentrata sull’ascolto; come Cesare, io ritengo che sia veramente interessante prestare attenzione ai “rumori” che ci circondano, perché ne facciamo parte e perché c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Non è una attitudine voyeuristica la mia, anche se ammetto che la curiosità è uno dei miei moventi principali, perdermi ad ascoltare le voci, le parole delle persone e i suoni del treno è una “attività” che mi diverte molto. Per questo non amo chiudermi a riccio con le cuffie nelle orecchie e la musica sparata nel cervello, mi perderei troppi suoni.
Molto spesso quando si è in treno e si osserva la sterminata campagna, con quell’erbetta vede che conferisce un senso di freschezza e abbondanza, magari illuminata dal sole e pestata da lepri, fagiani e aironi, non sarebbe male avere una colonna sonora di sottofondo. Io la chiamo la colonna sonora della vita, non è una musica reale, ma una melodia che ti si forma nella testa, accompagnata dal ripetitivo suono dell’avanzare del treno sulle rotaie. Ognuno può crearsi la propria in base alla sensibilità e allo stato d’animo dominante in quel preciso momento.
In treno che cosa si guarda? Essere in treno è come essere al cinema per 20-25 minuti. Certo è che non ci si può fissare a osservare intensamente il vicino di posto o chi hai di fronte, saresti troppo invadente… però una sbirciatina ogni tanto non fa male. Se ti guardi attorno vedi molti visi di uomini, donne e bambini di diversi colori, che parlano lingue diverse e appartengono a culture differenti. Allora ti chiedi come sia possibile che su un treno possano convivere in pace persone di tutte le etnie e religioni e nel mondo no! Possibile che ci sia una sorta di magia in treno? La tratta Persiceto-Bologna non è tanto lunga, e in quei 20 minuti tu vivi accanto ad una persona diversa da te e non la giudichi, né positivamente, né negativamente. Convivi e basta. Forse perché sei solo assonnato, stanco, perso nei tuoi problemi… oppure perché in treno siamo tutti uguali, persone pigiate fra di loro accomunate dalla stessa meta: Bologna. Ciò che accadrà scesi dal treno è un’altra storia e ormai la magia sarà finita, così tornerà la paura e il sospetto per il diverso.
In un vagone c’è davvero una fetta di mondo riunita assieme: cinesi, arabi, polacchi, tedeschi, italiani…di tutto di più! È veramente curioso vedere ragazze velate sedere di fronte a una tipa biondona tutta scollata con a fianco un’altra ragazza darkettona con borchie e piercing da tutte le parti. Oppure un signore cinese piccolino piccolino che parla al telefono cinguettando con la sua lingua svelta, con a fianco un ragazzone di colore che urla al telefono parlando in francese con una lenta cadenza. Che spettacolo! Gli esempi sarebbero infiniti e ci si perde proprio nell’osservare il panorama di persone che il treno offre.
Qui non si sentono solo lingue straniere, ma si fa conoscenza con tutti i dialetti e le pronunce d’Italia.
Ormai oserei dire che è quasi raro sentire il tipico accento bolognese, sono soprattutto gli studenti ad avere una parlata nostrana, dal momento che dalla provincia vanno a studiare nella metropoli bolognese. Così il treno unisce (linguisticamente) in un solo luogo nord, sud e centro Italia.
In treno però lo sguardo si può focalizzare anche su ciò che c’è al di là del finestrino. La finestra in letteratura è sempre stata un simbolo di apertura, il suo potere è quello di “dar voce” ad uno spazio altro. Così se si è fortunati e ci si imbatte in una bella e limpida mattina si possono osservare le colline bolognesi, in base alle stagioni tutte bianche di neve oppure lucenti e verdi, magari un po’ “tremolanti” per via dell’afa. Poi c’è San Luca che si staglia imponente alle porte di Bologna, quando lo vedi vuol dire che sei quasi arrivato.
Certamente non si dimentica la campagna con la sua flora e fauna tipica, è bello prestare attenzione se in mezzo all’erba si nasconde una lepre che mossa da un silenzioso richiamo inizia a correre all’improvviso; oppure le gallinelle d’acqua, in prossimità di un canale d’irrigazione, che si mimetizzano.
Avvicinandosi a Bologna lo spettacolo non è dei migliori, nei pressi della stazione i cantieri rendono un po’ desolante l’atmosfera. Lavori in corso perenni per “migliorare” la viabilità dei treni trasformano il paesaggio in una colata di cemento; lamiere e barre di ferro piantate al suolo con lunghe punte acuminate danno il benvenuto ai pendolari.
Ma rientriamo sul treno e chiudiamo per un attimo il finestrino.
In piedi o seduti ci troviamo in una posizione statica, naturalmente la sofferenza è maggiore quando dobbiamo aggrapparci all’aria per resistere agli scossoni del treno e la domanda nasce spontanea: perché sono in piedi? Credo che questa sia una di quelle domande esistenziali per le quali una risposta rimarrà sempre nell’ombra…. Comunque, il treno ci dà la possibilità di incontrarci anche con noi stessi. Quando abbiamo finito di guardarci attorno, il pensiero diventa nostro padrone e così possiamo riflettere su ciò che abbiamo fatto o ancora dobbiamo fare. Lo sguardo si perde nel vuoto e la mente vaga, tutto ciò che ti circonda diventa un rumore di sottofondo: “Speriamo che in stazione non mi rubino ancora la bici”, “La spesa la vado a fare dopo le 18”, “Cara nonna, anche se non ci sei più io ti penso tutti i giorni e sarai per sempre nel mio cuore”.
Pensieri frivoli, organizzativi, sentimentali… il treno diventa un “contenitore” dove fare i conti con se stessi, essendo in una dimensione fisicamente statica (niente corse e niente lavoro stressante da fare) il pensiero può agire. Molto spesso per un pendolare prendere il treno è una abitudine, una vera e propria routine che trasforma ogni singola azione, dall’allontanarsi dalla linea gialla, all’aprire la porta e cercare posto a sedere, dall’aspettare di passare Osteria Nuova e Calderara-Bargellino fino all’arrivare fisicamente a Bologna, in opache azioni passive; in altre parole non ci si accorge nemmeno più di farle. Peccato! Perché rendersi conto di essere in treno ti dà veramente la possibilità di sperimentare numerose attività, alcune delle quali ho cercato finora di descrivere.
Esperienze di vita mi insegnano che bisognerebbe imparare a godersi ogni singolo momento della nostra esistenza, per questo trasformare il semplice atto di prendere il treno a Persiceto per recarsi a Bologna in una opportunità di scoperta sarebbe un modo diverso di appropriarsi del pendolarismo.
Certo non voglio negare che a volte ci siano buone ragioni per sbuffare e farsi venire il nervoso per le immancabili pecche del nostro amico Trenitalia, però…. Però proviamo a goderci il nostro “viaggio” e a guardare ciò che ci sta attorno con altri occhi.

“Annuncio ritardo, il treno regionale xxxxx ….” Vaaaabè!

disegno di Paola Ranzolin

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