UN TRENO DA VIVERE
In viaggio verso Bologna
di Chiara Serra
Ok. Ce la posso fare. Caro treno delle 8.35 sarai mio!!! Potrebbe parere un grido
d’attacco, in realtà è una disperata richiesta di un posto a sedere… spero sempre
accada un miracolo e magicamente io riesca a conquistare una poltroncina così da
godermi, se così si può dire, il mio viaggetto verso Bologna.
Accade che una mattina su 20 io trovi posto a sedere sul magnifico treno dell’era
preistorica con 2 vagoni per 6000 persone…. Vabbè vabbè lascio perdere con le
critiche che ogni pendolare conosce e che un automunito o può immaginarsi o non
capirà mai! Mi voglio invece concentrare sul mondo parallelo che si viene a creare
non appena le porte sgangherate si chiudono e la marcia comincia. Il microcosmo
che vive all’interno del treno sarebbe degno di uno studio antropologico, ma senza
osare troppo ognuno di noi può benissimo accorgersi della “dimensione fantastica”
nella quale viene immerso. Come fare? È semplicissimo! Basta fermarsi un attimo
dalla frenesia della vita e restare in ascolto. Ascoltare.
Il primo aprile e l’otto aprile 2009 ci sono state due serate nella saletta della
biblioteca di Persiceto, dedicate alla Bioacustica, il relatore era Cesare Brizio,
un tipo alquanto singolare e bizzarro che si dedica con passione nel registrare i
suoni della natura, dal canto degli uccelli al frinire delle cicale. Questa
disciplina è tutta incentrata sull’ascolto; come Cesare, io ritengo che sia veramente
interessante prestare attenzione ai “rumori” che ci circondano, perché ne facciamo
parte e perché c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Non è una attitudine
voyeuristica la mia, anche se ammetto che la curiosità è uno dei miei moventi
principali, perdermi ad ascoltare le voci, le parole delle persone e i suoni del
treno è una “attività” che mi diverte molto. Per questo non amo chiudermi a riccio
con le cuffie nelle orecchie e la musica sparata nel cervello, mi perderei
troppi suoni.
Molto spesso quando si è in treno e si osserva la sterminata campagna, con
quell’erbetta vede che conferisce un senso di freschezza e abbondanza, magari
illuminata dal sole e pestata da lepri, fagiani e aironi, non sarebbe male
avere una colonna sonora di sottofondo. Io la chiamo la colonna sonora della
vita, non è una musica reale, ma una melodia che ti si forma nella testa,
accompagnata dal ripetitivo suono dell’avanzare del treno sulle rotaie. Ognuno
può crearsi la propria in base alla sensibilità e allo stato d’animo
dominante in quel preciso momento.
In treno che cosa si guarda? Essere in treno è come essere al cinema per 20-25
minuti. Certo è che non ci si può fissare a osservare intensamente il vicino
di posto o chi hai di fronte, saresti troppo invadente… però una sbirciatina
ogni tanto non fa male. Se ti guardi attorno vedi molti visi di uomini,
donne e bambini di diversi colori, che parlano lingue diverse e appartengono
a culture differenti. Allora ti chiedi come sia possibile che su un treno
possano convivere in pace persone di tutte le etnie e religioni e nel mondo
no! Possibile che ci sia una sorta di magia in treno? La tratta
Persiceto-Bologna non è tanto lunga, e in quei 20 minuti tu vivi accanto
ad una persona diversa da te e non la giudichi, né positivamente, né
negativamente. Convivi e basta. Forse perché sei solo assonnato, stanco,
perso nei tuoi problemi… oppure perché in treno siamo tutti uguali,
persone pigiate fra di loro accomunate dalla stessa meta: Bologna. Ciò
che accadrà scesi dal treno è un’altra storia e ormai la magia sarà
finita, così tornerà la paura e il sospetto per il diverso.
In un vagone c’è davvero una fetta di mondo riunita assieme: cinesi,
arabi, polacchi, tedeschi, italiani…di tutto di più! È veramente curioso
vedere ragazze velate sedere di fronte a una tipa biondona tutta scollata
con a fianco un’altra ragazza darkettona con borchie e piercing da
tutte le parti. Oppure un signore cinese piccolino piccolino che parla
al telefono cinguettando con la sua lingua svelta, con a fianco un
ragazzone di colore che urla al telefono parlando in francese con una
lenta cadenza. Che spettacolo! Gli esempi sarebbero infiniti e ci si
perde proprio nell’osservare il panorama di persone che il treno offre.
Qui non si sentono solo lingue straniere, ma si fa conoscenza con tutti
i dialetti e le pronunce d’Italia.
Ormai oserei dire che è quasi raro sentire il tipico accento bolognese,
sono soprattutto gli studenti ad avere una parlata nostrana, dal momento
che dalla provincia vanno a studiare nella metropoli bolognese.
Così il treno unisce (linguisticamente) in un solo luogo nord,
sud e centro Italia.
In treno però lo sguardo si può focalizzare anche su ciò che c’è al di
là del finestrino. La finestra in letteratura è sempre stata un simbolo
di apertura, il suo potere è quello di “dar voce” ad uno spazio altro.
Così se si è fortunati e ci si imbatte in una bella e limpida mattina
si possono osservare le colline bolognesi, in base alle stagioni tutte
bianche di neve oppure lucenti e verdi, magari un po’ “tremolanti”
per via dell’afa. Poi c’è San Luca che si staglia imponente alle
porte di Bologna, quando lo vedi vuol dire che sei quasi arrivato.
Certamente non si dimentica la campagna con la sua flora e fauna
tipica, è bello prestare attenzione se in mezzo all’erba si nasconde
una lepre che mossa da un silenzioso richiamo inizia a correre
all’improvviso; oppure le gallinelle d’acqua, in prossimità di
un canale d’irrigazione, che si mimetizzano.
Avvicinandosi a Bologna lo spettacolo non è dei migliori, nei
pressi della stazione i cantieri rendono un po’ desolante l’atmosfera.
Lavori in corso perenni per “migliorare” la viabilità dei
treni trasformano il paesaggio in una colata di cemento; lamiere
e barre di ferro piantate al suolo con lunghe punte acuminate
danno il benvenuto ai pendolari.
Ma rientriamo sul treno e chiudiamo per un attimo il finestrino.
In piedi o seduti ci troviamo in una posizione statica, naturalmente
la sofferenza è maggiore quando dobbiamo aggrapparci all’aria
per resistere agli scossoni del treno e la domanda nasce spontanea:
perché sono in piedi? Credo che questa sia una di quelle
domande esistenziali per le quali una risposta rimarrà sempre
nell’ombra…. Comunque, il treno ci dà la possibilità di
incontrarci anche con noi stessi. Quando abbiamo finito di
guardarci attorno, il pensiero diventa nostro padrone e
così possiamo riflettere su ciò che abbiamo fatto o ancora
dobbiamo fare. Lo sguardo si perde nel vuoto e la mente vaga,
tutto ciò che ti circonda diventa un rumore di sottofondo:
“Speriamo che in stazione non mi rubino ancora la bici”,
“La spesa la vado a fare dopo le 18”, “Cara nonna, anche
se non ci sei più io ti penso tutti i giorni e sarai per
sempre nel mio cuore”.
Pensieri frivoli, organizzativi, sentimentali… il treno
diventa un “contenitore” dove fare i conti con se stessi,
essendo in una dimensione fisicamente statica (niente
corse e niente lavoro stressante da fare) il pensiero può
agire. Molto spesso per un pendolare prendere il treno è
una abitudine, una vera e propria routine che trasforma
ogni singola azione, dall’allontanarsi dalla linea gialla,
all’aprire la porta e cercare posto a sedere, dall’aspettare
di passare Osteria Nuova e Calderara-Bargellino fino
all’arrivare fisicamente a Bologna, in opache azioni passive;
in altre parole non ci si accorge nemmeno più di farle.
Peccato! Perché rendersi conto di essere in treno ti dà
veramente la possibilità di sperimentare numerose attività,
alcune delle quali ho cercato finora di descrivere.
Esperienze di vita mi insegnano che bisognerebbe imparare
a godersi ogni singolo momento della nostra esistenza,
per questo trasformare il semplice atto di prendere il
treno a Persiceto per recarsi a Bologna in una opportunità
di scoperta sarebbe un modo diverso di appropriarsi del
pendolarismo.
Certo non voglio negare che a volte ci siano buone ragioni
per sbuffare e farsi venire il nervoso per le immancabili
pecche del nostro amico Trenitalia, però…. Però proviamo
a goderci il nostro “viaggio” e a guardare ciò che ci
sta attorno con altri occhi.
“Annuncio ritardo, il treno regionale xxxxx ….” Vaaaabè!
disegno di Paola Ranzolin
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