Articoli su Borgo Rotondo

 marzo 2009
 
IL MICROSCAVO
Arrivano i Villanoviani

di Chiara Serra

Novembre 2008. Il Museo Archeologico Ambientale di Persiceto ha promosso una attività veramente interessante volta a coinvolgere anche le scuole del circondario. All’interno del Museo, allestito come un cantiere per l’occasione, sono state microscavate 3 urne cinerarie di epoca villanoviana rinvenute durante lo scavo in via Imbiani nel giugno 2004; si potrebbe parlare di un vero e proprio “colpo di fortuna”: il ritrovamento è avvenuto perché si stavano compiendo lavori per la costruzione di un bacino di raccolta idrica. È stato attivato subito uno scavo di emergenza.
Forse non tutti sanno dove si trova via Imbiani, ebbene è nella zona industriale a sud-ovest di Persiceto e le tombe erano orientate est-ovest con i cinerari verso est. Questa striscia di terreno è fortunata perché i rinvenimenti sono a una quota non eccessiva: mediamente a un metro di profondità.
Le tombe di via Imbiani sono il più recente ritrovamento funerario di cultura villanoviana nel territorio di terre d’acqua.
Abbiamo parlato di 2 tombe, cosa è stato trovato al loro interno? Nella prima tomba vi erano due vasi cinerari biconici affiancati da oggetti di corredo in ceramica e bronzo come spilloni, un rasoio, fibule a sanguisuga, appliques d’osso con incisioni lineari molto probabilmente usate come ornamento. Si presume che la sepoltura appartenesse ad un individuo di sesso maschile e ad un individuo di sesso femminile (ad oggi vi sono ancora dubbi riguardo al sesso di quest’ultima). Nella seconda tomba vi era un solo cinerario con elementi di corredo tipicamente femminili: una fusaiola, fibule e un set di vasetti da mensa.
L’analisi del contenuto dei vasi non è stata immediatamente effettuata, infatti i cinerari sono rimasti nei magazzini del Museo diversi anni in attesa di adeguati progetti di studio e valorizzazione, finché fra novembre e dicembre 2008 il lavoro ha preso avvio.
Il Museo Archeologico ha approfittato della situazione per aprire le porte ai non addetti ai lavori e dare l’opportunità a tutti di vedere come si affronta uno scavo in un ambito ricostruito. Così il Museo si è trasformato in un laboratorio dove archeologi e archeobotanici lavoravano sotto lo sguardo incuriosito di bambini e adulti.
Cosa è un microscavo? La parola stessa ci suggerisce che si tratta di uno scavo in piccolo, molto attento e scrupoloso effettuato per analizzare reperti e deposti antichi; la precisione è d’obbligo, infatti bisogna fare attenzione agli strati di terreno (stratigrafia) che si sono accumulati all’interno del vaso dopo la deposizione, il terreno deve essere rimosso con cura per recuperare i resti. Gli strumenti utilizzati sono palettine sia di legno che di metallo, bisturi, pennelli…
Il terreno eliminato va raccolto perché deve essere studiato attraverso la flottazione e la setacciatura, al fine di verificare se in mezzo a questo vi sia qualcosa di interessante di piccolissime dimensioni.
Naturalmente i risultati del microscavo ci sono, esistono come sempre. Il 12 dicembre 2008 nella sala del Consiglio comunale vi è stata la presentazione del lavoro svolto dagli archeologi, e dei progetti futuri. Era presente anche Paola De Santis, funzionario della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, che ha commentato l’esperienza del Microscavo in Diretta promossa dal Museo, ringraziando la Provincia per il contributo che darà alla valorizzazione dei reperti. Infatti nella primavera 2009 si prevede l’apertura di una nuova area del Museo Archeologico Ambientale di Persiceto, dedicata ai ritrovamenti del periodo Villanoviano di via Imbiani.
Durante la conferenza il momento più emozionante e denso di aspettative è stato quello in cui si è “svelato” cosa ci fosse effettivamente nei 3 vasi cinerari e come gli archeologi hanno agito per salvare i reperti.
Procediamo per gradi. Il primo vaso della prima tomba già in passato si era inclinato subito dopo la deposizione e così è stato ritrovato; inoltre la ruspa durante i lavori di scavo ne ha danneggiato involontariamente la parte superiore. Al contrario il secondo cinerario della prima tomba non è stato rotto dal momento che era collassato in antico su se stesso, così si presume sia totalmente ricostruibile assemblandone le varie parti. Nel tentativo di non danneggiare ulteriormente i già frammentati reperti e di facilitarne conservazione e recupero, alcuni pezzi di ceramica sono stati consolidati. In questo cinerario i reperti sono di grandezza maggiore rispetto al primo, e anche se di numero inferiore, appaiono meglio conservati. Si tratta di due morsi equini, indice che la persona apparteneva ad un rango elevato, ganci in bronzo e appliques in osso con incisioni lineari.
Il cinerario della seconda tomba ci “regala” reperti di piccole dimensioni e molto danneggiati; come già detto si presume comunque appartenesse ad una donna.
Ogni singolo ritrovamento per quanto microscopico possa essere è di una importanza stratosferica, infatti il contenuto dei vasi cinerari permette di ricavare informazioni sul rituale funerario e sulle caratteristiche biologiche del defunto. Anche l’ambiente si può indagare dai reperti grazie agli studi archeobotanici che si propongono proprio di ricostruire il paesaggio vegetale antico attraverso analisi specialistiche in laboratorio.
In che modo è possibile tale indagine? Si prende della terra da tutti i punti dello scavo, raggiunti i 10 kg la si trasporta in laboratorio dove subisce una serie di processi: i campioni vengono messi in acqua e una volta ammorbidita la terra si fa passare per tre setacci in modo da verificare se ci sono piccoli reperti come semi, carboni, frutti, frammenti di bronzo o perline di vetro grandi qualche millimetro, le quali senza questo procedimento andrebbero sicuramente perdute.
I pollini sono reperti vegetali microscopici la cui analisi avviene tramite un procedimento di laboratorio che dura una settimana, si usano piccolissime quantità di terra e attraverso centrifughe, acidi, passaggi sotto cappa si separa il polline dal terreno; una volta individuato, questo viene sottoposto al microscopio con l’obiettivo di riconoscere le specie vegetali presenti in antico e ricostruire l’evoluzione del paesaggio.
In particolar modo le tombe di via Imbiani presentano come predominanti i resti di piante di frassino; in realtà nel nostro territorio il frassino non era così diffuso come invece la quercia, quindi nei contesti funerari non è una casualità ma una scelta consapevole per il significato collegato a questa pianta: nell’antichità si pensava che i fumi della combustione del frassino potessero allontanar serpenti, garantire guarigioni miracolose, era considerato un albero cosmico, in età classica era una pianta sacra a Poseidone. Quindi la scelta del frassino è stata da sempre legata a riti, tradizioni e valori.
Ogni reperto ci può aiutare ad approfondire la conoscenza della nostra storia, proprio per tale motivo le varie fasi cui è sottoposto il materiale che perviene dallo scavo, devono essere attentamente eseguite. I reperti arrivano in laboratorio imballati e incellofanati all’interno di sacchetti per mantenere il microclima, quando iniziano i lavori, gli imballaggi vengono tagliati e bisogna intervenire velocemente per far sì che non intervengano shock termici; dopo aver verificato lo stato di conservazione dei reperti, si passa alla fase di pulitura, per cui alcuni vanno lavati a secco o con acqua demineralizzata. Successivamente vengono collocati sopra a tavoli per farli essiccare a temperatura ambiente (non si utilizza il phon perché si creerebbero microfratture all’interno e il frammento andrebbe perso).
Si passa poi alla fase di consolidamento. Si toglie la terra dalle fratture in modo da trovare gli attacchi fra i vari frammenti e si parte così a ricostruire dal fondo; gli assemblaggi avvengono con colle, sempre prodotti reversibili. Infine si cerca di integrare le parti mancanti del manufatto con prodotti specifici colorati con terre naturali, per ricreare la forma originaria.
Ora non ci resta che aspettare la fase di musealizzazione per “toccare con mano” e ammirare il lavoro e lo studio degli esperti.
Il Microscavo all’interno del Museo ha avuto l’intento di sensibilizzare la popolazione e renderla partecipe della “ricerca del passato”. In due settimane di apertura in totale sono arrivate al Museo circa 800 persone, una risposta notevole se si pensa che per la maggior parte sono state le scuole ad accettare l’invito del Museo.
D’altronde come ritiene Paola De Santis, l’unico modo per contrastar l’idea per cui i musei sono luoghi di altri, è far sì che i bambini si appassionino alla propria storia. Quando le nuove generazioni riescono ad essere attratte dalla conoscenza del territorio, allora c’è speranza! Il Museo Archeologico Ambientale ha reso possibile proprio questo, basta pensare al disegno che un bambino ha realizzato in occasione del recente evento SBAM porte aperte alla cultura (30 novembre 2008) dove dice che la visita al Microscavo è stato: il giorno più bello della sua vita.

fotografie concesse dal Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto (BO)

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