IL MICROSCAVO
Arrivano i Villanoviani
di Chiara Serra
Novembre 2008. Il Museo Archeologico Ambientale di Persiceto ha promosso una attività
veramente interessante volta a coinvolgere anche le scuole del circondario.
All’interno del Museo, allestito come un cantiere per l’occasione, sono state
microscavate 3 urne cinerarie di epoca villanoviana rinvenute durante lo scavo
in via Imbiani nel giugno 2004; si potrebbe parlare di un vero e proprio
“colpo di fortuna”: il ritrovamento è avvenuto perché si stavano compiendo
lavori per la costruzione di un bacino di raccolta idrica. È stato attivato
subito uno scavo di emergenza.
Forse non tutti sanno dove si trova via Imbiani, ebbene è nella zona industriale a
sud-ovest di Persiceto e le tombe erano orientate est-ovest con i cinerari verso est.
Questa striscia di terreno è fortunata perché i rinvenimenti sono a una quota non
eccessiva: mediamente a un metro di profondità.
Le tombe di via Imbiani sono il più recente ritrovamento funerario di cultura
villanoviana nel territorio di terre d’acqua.
Abbiamo parlato di 2 tombe, cosa è stato trovato al loro interno?
Nella prima tomba vi erano due vasi cinerari biconici affiancati da oggetti
di corredo in ceramica e bronzo come spilloni, un rasoio, fibule a sanguisuga,
appliques d’osso con incisioni lineari molto probabilmente usate come ornamento.
Si presume che la sepoltura appartenesse ad un individuo di sesso maschile e
ad un individuo di sesso femminile (ad oggi vi sono ancora dubbi riguardo al
sesso di quest’ultima). Nella seconda tomba vi era un solo cinerario con
elementi di corredo tipicamente femminili: una fusaiola, fibule e un set
di vasetti da mensa.
L’analisi del contenuto dei vasi non è stata immediatamente effettuata,
infatti i cinerari sono rimasti nei magazzini del Museo diversi anni in
attesa di adeguati progetti di studio e valorizzazione, finché fra novembre
e dicembre 2008 il lavoro ha preso avvio.
Il Museo Archeologico ha approfittato della situazione per aprire le porte
ai non addetti ai lavori e dare l’opportunità a tutti di vedere come si
affronta uno scavo in un ambito ricostruito. Così il Museo si è trasformato
in un laboratorio dove archeologi e archeobotanici lavoravano sotto lo
sguardo incuriosito di bambini e adulti.
Cosa è un microscavo? La parola stessa ci suggerisce che si tratta di
uno scavo in piccolo, molto attento e scrupoloso effettuato per analizzare
reperti e deposti antichi; la precisione è d’obbligo, infatti bisogna fare
attenzione agli strati di terreno (stratigrafia) che si sono accumulati
all’interno del vaso dopo la deposizione, il terreno deve essere rimosso
con cura per recuperare i resti. Gli strumenti utilizzati sono palettine
sia di legno che di metallo, bisturi, pennelli…
Il terreno eliminato va raccolto perché deve essere studiato attraverso la
flottazione e la setacciatura, al fine di verificare se in mezzo a questo
vi sia qualcosa di interessante di piccolissime dimensioni.
Naturalmente i risultati del microscavo ci sono, esistono come sempre.
Il 12 dicembre 2008 nella sala del Consiglio comunale vi è stata la
presentazione del lavoro svolto dagli archeologi, e dei progetti futuri.
Era presente anche Paola De Santis, funzionario della Soprintendenza
per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, che ha commentato l’esperienza
del Microscavo in Diretta promossa dal Museo, ringraziando la
Provincia per il contributo che darà alla valorizzazione dei reperti.
Infatti nella primavera 2009 si prevede l’apertura di una nuova area
del Museo Archeologico Ambientale di Persiceto, dedicata ai
ritrovamenti del periodo Villanoviano di via Imbiani.
Durante la conferenza il momento più emozionante e denso di
aspettative è stato quello in cui si è “svelato” cosa ci fosse
effettivamente nei 3 vasi cinerari e come gli archeologi hanno
agito per salvare i reperti.
Procediamo per gradi. Il primo vaso della prima tomba già in passato
si era inclinato subito dopo la deposizione e così è stato ritrovato;
inoltre la ruspa durante i lavori di scavo ne ha danneggiato
involontariamente la parte superiore. Al contrario il secondo
cinerario della prima tomba non è stato rotto dal momento che era
collassato in antico su se stesso, così si presume sia totalmente
ricostruibile assemblandone le varie parti. Nel tentativo di non
danneggiare ulteriormente i già frammentati reperti e di facilitarne
conservazione e recupero, alcuni pezzi di ceramica sono stati
consolidati. In questo cinerario i reperti sono di grandezza maggiore
rispetto al primo, e anche se di numero inferiore, appaiono meglio
conservati. Si tratta di due morsi equini, indice che la persona
apparteneva ad un rango elevato, ganci in bronzo e appliques in
osso con incisioni lineari.
Il cinerario della seconda tomba ci “regala” reperti di piccole
dimensioni e molto danneggiati; come già detto si presume
comunque appartenesse ad una donna.
Ogni singolo ritrovamento per quanto microscopico possa essere
è di una importanza stratosferica, infatti il contenuto dei
vasi cinerari permette di ricavare informazioni sul rituale
funerario e sulle caratteristiche biologiche del defunto.
Anche l’ambiente si può indagare dai reperti grazie agli
studi archeobotanici che si propongono proprio di ricostruire
il paesaggio vegetale antico attraverso analisi specialistiche
in laboratorio.
In che modo è possibile tale indagine? Si prende della terra
da tutti i punti dello scavo, raggiunti i 10 kg la si trasporta
in laboratorio dove subisce una serie di processi: i campioni
vengono messi in acqua e una volta ammorbidita la terra si fa
passare per tre setacci in modo da verificare se ci sono piccoli
reperti come semi, carboni, frutti, frammenti di bronzo o
perline di vetro grandi qualche millimetro, le quali senza
questo procedimento andrebbero sicuramente perdute.
I pollini sono reperti vegetali microscopici la cui analisi
avviene tramite un procedimento di laboratorio che dura una
settimana, si usano piccolissime quantità di terra e attraverso
centrifughe, acidi, passaggi sotto cappa si separa il polline
dal terreno; una volta individuato, questo viene sottoposto al
microscopio con l’obiettivo di riconoscere le specie vegetali
presenti in antico e ricostruire l’evoluzione del paesaggio.
In particolar modo le tombe di via Imbiani presentano come
predominanti i resti di piante di frassino; in realtà nel nostro
territorio il frassino non era così diffuso come invece la quercia,
quindi nei contesti funerari non è una casualità ma una scelta
consapevole per il significato collegato a questa pianta:
nell’antichità si pensava che i fumi della combustione del
frassino potessero allontanar serpenti, garantire guarigioni
miracolose, era considerato un albero cosmico, in età
classica era una pianta sacra a Poseidone. Quindi la scelta
del frassino è stata da sempre legata a riti, tradizioni
e valori.
Ogni reperto ci può aiutare ad approfondire la conoscenza
della nostra storia, proprio per tale motivo le varie fasi
cui è sottoposto il materiale che perviene dallo scavo,
devono essere attentamente eseguite. I reperti arrivano in
laboratorio imballati e incellofanati all’interno di
sacchetti per mantenere il microclima, quando iniziano i lavori,
gli imballaggi vengono tagliati e bisogna intervenire
velocemente per far sì che non intervengano shock termici;
dopo aver verificato lo stato di conservazione dei reperti,
si passa alla fase di pulitura, per cui alcuni vanno lavati
a secco o con acqua demineralizzata. Successivamente vengono
collocati sopra a tavoli per farli essiccare a temperatura
ambiente (non si utilizza il phon perché si creerebbero
microfratture all’interno e il frammento andrebbe perso).
Si passa poi alla fase di consolidamento. Si toglie la terra
dalle fratture in modo da trovare gli attacchi fra i vari
frammenti e si parte così a ricostruire dal fondo; gli
assemblaggi avvengono con colle, sempre prodotti reversibili.
Infine si cerca di integrare le parti mancanti del manufatto
con prodotti specifici colorati con terre naturali, per
ricreare la forma originaria.
Ora non ci resta che aspettare la fase di musealizzazione
per “toccare con mano” e ammirare il lavoro e lo studio
degli esperti.
Il Microscavo all’interno del Museo ha avuto l’intento di
sensibilizzare la popolazione e renderla partecipe della
“ricerca del passato”. In due settimane di apertura in
totale sono arrivate al Museo circa 800 persone, una
risposta notevole se si pensa che per la maggior parte sono
state le scuole ad accettare l’invito del Museo.
D’altronde come ritiene Paola De Santis, l’unico modo per
contrastar l’idea per cui i musei sono luoghi di altri, è
far sì che i bambini si appassionino alla propria storia.
Quando le nuove generazioni riescono ad essere attratte dalla
conoscenza del territorio, allora c’è speranza! Il Museo
Archeologico Ambientale ha reso possibile proprio questo, basta
pensare al disegno che un bambino ha realizzato in occasione
del recente evento SBAM porte aperte alla cultura (30 novembre 2008)
dove dice che la visita al Microscavo è stato: il giorno
più bello della sua vita.
fotografie concesse dal Museo Archeologico Ambientale di San Giovanni in Persiceto (BO)
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